People’s Health Movement (PHM) tribute: Dr Amit Sengupta

Come Grup-pa, rete italiana del People’s Health Movement (PHM), condividiamo la triste notizia della scomparsa del compagno Amit Sengupta, uno dei membri fondatori del PHM.
Alcune/i di noi hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Altre/i indirettamente ne hanno ricevuto lo spirito attraverso i racconti e le pratiche collettive.
Le azioni che abbiamo portato avanti come Grup-pa in questi quattro anni sono state possibili anche e soprattutto grazie all’impegno politico, intellettuale e organizzativo di chi, come lui, da lontano ci ha sostenuto, creando le condizioni affinchè potesse succedere.
Ti porteremo sempre con noi, nella lotta per il diritto alla salute e per un mondo più giusto.

Ciao Amit!

Grup-pa – PHM Italia

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http://phmovement.org/peoples-health-movement-phm-tribute-dr-amit-sengupta/?fbclid=IwAR3SV9RjzW-4qhz_4-2pq_W8BSkU0WKvhCW7Ickud7C7CD3Hb5UBUH3bSQs

It is with extreme sadness that we announce the passing away of our dear comrade Dr. Amit Sengupta, a beloved colleague, friend, mentor and activist. Amit passed away on 28 November 2018, in a swimming accident in Goa, India.

Amit was a founding member of PHM at its creation in 2000 in Savar, Bangladesh.

Trained as a medical doctor, Amit dedicated his life to the struggle for universal access to health, and worked on issues related to public health, pharmaceuticals policy and intellectual property rights. He led several research projects in the area of public health and medicines policy, and was associated with several civil society platforms and networks, including the All India People’s Science Network. He was the Associate Global Coordinator of People’s Health Movement (PHM) and coordinated the editorial group of the Global Health Watch and the WHO Watch. He was the Co Convenor of Jan Swasthya Abhiyan (JSA), the Indian Chapter of PHM. He wrote regularly for journals and newspapers across India and the world.

Amit played a key role in the recently concluded People’s Health Assembly in Dhaka where more than 1400 people from around 73 countries came together to share their struggles and plan for coordinated action for health and social justice.

Amit brought his enormous political, organisational and leadership capacity to PHM. We were privileged to have him as a co-traveller. He leaves us a wonderful legacy: the magic of his life, his intelligence, warmth, honesty, joy, wry humour and his steadfast commitment to a just and equitable world.

The untimely demise of this special comrade and friend is an irreparable loss to all of us personally, Amit’s family and for the broader health movement globally and in India. We offer our condolences and solidarity to Amit’s wife Tripta and son Arijit. PHM and JSA will continue to carry forward Amit’s vision of strengthening the public health movement towards health for all.

Thank you comrade Amit.

Adios, Red Salute, Laal salaam!

Long Live Amit Sengupta!

People’s Health Movement Steering Council and Global Secretariat

28 November 2018

 

Le parole del comune in salute – Parte II

Quale tecnica per quale paradigma di salute?

Non c’è dubbio sul fatto che, nella visione medicalizzante e capitalista della salute che oggi risulta dominante, un miglioramento delle condizioni di benessere viene identificato con più ospedali di eccellenza, biotecnologie sempre più sofisticate, ricerca farmacologica avanzata, medicina personalizzata. Tuttavia, questo sposta ulteriormente l’attenzione e gli investimenti da quei fattori che, a monte, condizionano buona parte delle nostre possibilità di vita in salute – i determinanti di salute –  e sono legati alle forme di organizzazione che le società si danno e, dunque, alla questione dell’equità e della giustizia sociale. Inoltre, sviluppo e produzione tecnologica sono in stretta relazione con il modo di produzione capitalista, non sostenibile dal punto di vista ambientale e connesso a crescenti fenomeni di disuguaglianza ed esclusione, non solo nei Paesi a basso reddito – si pensi alla mancanza di cure oncologiche per la maggior parte della popolazione mondiale – ma sempre più anche nelle nostre società, come dimostra il recente caso dei nuovi farmaci per l’epatite C1. Infine, dipendere dal settore privato per la produzione degli strumenti della cura genera pericolosi conflitti di interesse ed è stato ampiamente dimostrato che più cure non generino necessariamente più salute, ma quasi sempre più profitto.

Oltre alle considerazioni macro, parlare di tecnica o tecnologie e salute risulta complesso anche in relazione ai vissuti delle persone e alla relazione di cura. In primo luogo, per come si interseca con la questione del sapere esperto che tentiamo di rimettere in discussione, in secondo luogo, perché le tecnologie che utilizziamo sono strettamente connesse al paradigma di salute che costruiamo, e plasmano gli immaginari di malattia e di cura. Se la malattia è qualcosa di confinato al corpo e all’organo, solo la tecnica per esplorare il corpo e l’organo darà risposte pertinenti, viceversa, proprio l’esistenza di quella tecnica contribuisce a rafforzare l’esclusione di altre variabili, che essa non arriva a indagare. L’antropologia suggerisce di non separare gli immaginari (la mente) dal corpo che li vive, pertanto la nostra “dipendenza dalla tecnica” è un fatto oggettivo, a prescindere dalle considerazioni sull’utilità o meno della tecnica in questione. Si può dire quindi che nessuna tecnica è neutra, perché entra nei modi di organizzazione, rappresentazione e produzione del reale.

Gli interrogativi da porsi se si intende lavorare a una trasformazione dell’approccio alla salute, sia dall’interno delle istituzioni sanitarie sia tramite esperienze di salute dal basso, sono dunque di tre ordini.

1) È possibile separare la tecnica (medica) dal modello di produzione chiamato in causa tanto nella generazione delle disuguaglianze (sociali, di salute così come di accesso alla stessa tecnica), quanto nella compromissione della sostenibilità del pianeta?

2) Mettendo in discussione gli immaginari (incorporati) legati a un approccio alla malattia iperspecializzato e altamente tecnologizzato (che si traduce anche in un sistema oppressivo di controllo sui corpi), vogliamo escludere completamente tale approccio dalle pratiche di salute, nonostante il comprovato beneficio di alcuni dispositivi tecnologici (per esempio, i farmaci essenziali)?

3) Chi e come – e con quale livello di democrazia – può discernere le tecnologie che portano un beneficio? È possibile pensarne una gestione collettiva (dalla ricerca alla produzione)? E ancora, quando parliamo di beneficio, cosa intendiamo esattamente?

Efficacia

Porsi questa domanda, chiedersi cosa intendiamo con beneficio, implica anche chiedersi come possiamo valutare i risultati di un intervento in salute, e questo non è solo un esercizio astratto ma è anche un modo per orientare le nostre pratiche di salute collettiva. Ci preme pertanto partire dall’idea di efficacia oggi dominante all’interno delle istituzioni sanitarie per provare a sovvertirla, tentando di risignificare il concetto di beneficio in termini di salute.

All’interno delle istituzioni pubbliche si parla oggi più che altro del concetto di efficienza accompagnato da altri concetti quali quello dell’economicità e quello della appropriatezza. Questa terminologia e i parametri a cui fa riferimento derivano e rimandano a una impostazione aziendalista e ottimizzatrice che allo stato attuale caratterizza sempre di più anche il sistema sanitario pubblico.

Accanto a questo concetto di efficienza viene spesso posto quello che potremmo definire di efficacia tecnica, ovvero la capacità di produrre effetti in termini di guarigione da processi patologici e di prolungamento della sopravvivenza. Questo approccio implica che vengano considerati solo alcuni parametri legati ad aspetti misurabili e ritenuti oggettivi (come per esempio il tasso di sopravvivenza) e siano esclusi altri difficilmente quantificabili (come gli aspetti legati alla qualità della vita), riproducendo un binarismo irrealistico tra sano e malato che rafforza dinamiche di esclusione e controllo dei corpi. Un approccio del genere, inoltre, considera solamente gli aspetti biologici della salute e della malattia, occultando di fatto la dimensione simbolica e le condizioni strutturali che le producono.

Nell’immaginare nuove pratiche di salute risulta quindi particolarmente importante essere capaci di costruire anche modi differenti per guardare ai risultati dei processi che generiamo. È in questo senso che abbiamo provato ad interrogarci sulla possibilità di ridefinire il concetto di efficacia o di connotarlo, in modo che tenga conto della molteplicità dei processi di produzione collettiva della salute. La discussione su come rendere questo elemento da un punto di vista lessicale è ancora aperta, pertanto vorremmo servirci di un esempio per evidenziare le diverse sfaccettature: dal punto di vista “biomedico”, l’efficacia di un intervento su una persona ammalata di tubercolosi potrebbe coincidere con l’efficacia della cura farmacologica, nonostante tale intervento non possa considerarsi risolutivo sulle cause di contesto che hanno contribuito a produrre questa condizione. Come possiamo però definire l’incisività di una pratica di salute che agisca contemporaneamente aumentando la consapevolezza dell’individuo e intervenendo sui determinanti sociali di salute? Abbiamo ipotizzato di chiamarla efficacia biopolitica per provare a riconoscerle anche la capacità di soggettivazione e di trasformazione complessiva.

Il nodo della sostenibilità

Un altro interrogativo importante, che attraversa tanto le esperienze di autogestione in salute quanto le sperimentazioni alternative che si muovono all’interno del sistema sanitario pubblico, è quello della sostenibilità.

Sostenibilità, soprattutto in riferimento al welfare, è un termine ambiguo e scivoloso. È infatti proprio in riferimento alla “(in)sostenibilità del sistema” che oggi le istituzioni giustificano lo smantellamento progressivo dei servizi pubblici. La sostenibilità, in questo senso, è declinata solo in termini economicistici e l’unico parametro tenuto in considerazione è quello della spesa sanitaria; ogni altra dimensione al di fuori di quella economica scompare dalle valutazioni.

Tuttavia, quello della sostenibilità è anche un nodo con cui le esperienze di produzione di salute dal basso fanno costantemente i conti. In questo caso la sostenibilità ha a che fare con l’accessibilità e attraversabilità delle esperienze, il loro impatto sul territorio, e la loro possibilità di sopravvivenza nel sistema capitalista.

Per articolare la questione possiamo parlare di sostenibilità delle esperienze del comune in salute considerando sia il livello materiale sia quello immateriale, sul piano personale e collettivo.

Dal punto di vista materiale, con quali risorse si sostengono le esperienze? È possibile immaginare forme di sostentamento collettive e individuali in grado di dare stabilità e continuità alle attività messe in atto dalle varie realtà? Molte esperienze di attivismo e autorganizzazione creano forme di reddito diretto e/o indiretto, si interrogano su come sia possibile costruire sostenibilità economica facendo dell’attivismo una scelta di vita, mettono in atto pratiche di redistribuzione, di economia alternativa e/o di neomutualismo. Qual è l’impatto che queste nuove forme di sostenibilità generate possono avere in termini di accessibilità ed equità? Verso quali cambiamenti strutturali tendono?

Alle questioni materiali va aggiunta poi una riflessione su quella che è la sostenibilità umana delle realtà e delle persone coinvolte in questi percorsi. Questa seconda dimensione della sostenibilità rimanda alle forme organizzative che le esperienze autogestite adottano  per la gestione del potere decisionale, la divisione delle responsabilità e dei compiti, unitamente al livello di coinvolgimento personale e relazionale. Spesso si creano dinamiche di autosfruttamento che portano a malessere e frustrazione, generate dal modello organizzativo che si decide di adottare. Scostarsi da modelli organizzativi gerarchici per abbracciarne altri a maggiore livello di co-responsabilità implica la necessità di uno “spostamento”, anche personale, e una grande attenzione alla cura e alla riconfigurazione delle relazioni, per sperimentare forme organizzative nuove in grado di tenere insieme bisogni, aspettative, desideri e funzionamento.

C’è poi un ulteriore livello da prendere in considerazione, che possiamo definire di sostenibilità politica. Un tratto comune a molte esperienze di autogestione in salute è quello di cercare di tenere insieme l’azione sui micro-contesti, a partire dai bisogni/desideri di chi le attraversa e/o del territorio di cui sono parte, con l’azione su un piano più ampio di trasformazione politica. In questa tensione si convive con il duplice rischio di “schiacciare” l’esperienza sui bisogni/desideri delle persone che ne fanno (già) parte, oppure, al contrario, di costruire esperienze distanti da chi le abita.

In che modo possiamo costruire esperienze che “partendo da(l) sé” siano aperte a nuovi e diversi bisogni, mettendo in pratica un approccio che tenga conto dell’intersezione2 delle forme di oppressione? Di quali strumenti ci dotiamo per valutare le ricadute e l’impatto sul territorio delle esperienze di cui siamo parte, oltre a quello che hanno sulle nostre vite? Attraverso quali strategie possiamo moltiplicare e rafforzare le lotte, fuoriuscendo da confini geografici e paradigmi di appartenenza identitaria? Come si declinano nel concreto e come si organizzato reti di solidarietà e di alleanza tra esperienze?

Immaginari e processi istituenti

Immaginare nuove pratiche di salute è soprattutto immaginare nuove istituzioni della salute. Per quanto il termine “istituzione” abbia assunto spesso, nei contesti in cui ci muoviamo, una connotazione disciplinare, un’idea di controllo sociale e di standardizzazione dei corpi che rifiutiamo, ci sembra importante richiamare qui la riflessione sui processi istituenti e dunque guardare al concetto di istituzione con questa duplice accezione.

Se infatti quelle istituzioni dello Stato che abitualmente attraversiamo sono una forma sociale pre-stabilita che utilizza e costruisce un rigido sistema di norme e obblighi comportamentali (istituito, istituzionalizzato), proporre processi di produzione collettiva di saperi, reti di welfare dal basso e percorsi di cura co-costruiti significa guardare alle istituzioni come processi vivi, aperti e partecipati le cui pratiche sono costantemente in divenire piuttosto che date una volta per tutte. Possiamo quindi parlare di momenti istituenti, considerando l’istituente come un potere di creazione di nuovi immaginari in opposizione alla staticità delle istituzioni statali.

È soprattutto in ragione di questa riflessione che nasce la proposta di parlare di questo moltiplicarsi di pratiche alternative sulla salute non più (o non soltanto) come pratiche di autogestione, ma come pratiche del comune in salute per accogliere le potenzialità del processo istituente che possono avere nella misura in cui saranno capaci di dare valore politico a nuovi immaginari, sfuggendo allo stesso tempo ai meccanismi di cattura ed espropriazione del neoliberismo.

Note:

1AA.VV. Epatite C. Il diritto alla cura. Saluteinternazionale.info. Visitato il 06.06.2018

2L’intersezionalità è un approccio politico che nasce intorno agli anni Settanta dal movimento femminista delle donne nere negli Stati Uniti e dal movimento postcoloniale. Secondo questa visione, la (ri)produzione delle disuguaglianze sociali non è il frutto di una semplice sommatoria di diverse condizioni di oppressione (classe sociale, nazionalità, identità di genere e orientamento sessuale, status giuridico, dis/abilità, ecc.) ma emerge, a seconda del contesto, dall’intreccio di queste. La forza e l’originalità dell’approccio intersezionale risiede nel riuscire a tenere insieme la dimensione al tempo stesso strutturale e situata/contestuale dell’oppressione. Propone quindi di tenere sempre presente che: stesse categorie possono essere diverse e avere effetti diversi in contesti differenti; le forme di oppressione sono tutte connesse tra loro, se le isoliamo e agiamo solo su una di queste non avremo una comprensione accurata di come funzionano; agire solo per un obiettivo/contesto specifico non ci permette di vedere che questo può diventare a sua volta oppressivo per un altro contesto (Crenshaw, 1989; Collins, 2000; Hancock, 2007).

Le parole del comune in salute – Parte I

Le riflessioni all’origine del processo di ricerca-azione portato avanti dalla Grup-pa1 sono frutto di percorsi di autoformazione critica (politica) sulla salute2, nei quali abbiamo iniziato a mettere in discussione i concetti di salute e malattia così come vengono insegnati nelle facoltà di scienze mediche3, nonché le tradizionali forme di relazione docente-discente e medico-paziente che vedono i secondi termini della relazione in un rapporto di subalternità rispetto ai primi4.

L’esperienza della Grup-pa e le pratiche che portiamo avanti si fondano sulla condivisione di un approccio politico alla salute5, considerando innanzitutto quelli che sono i suoi determinanti: la casa, il lavoro, l’istruzione, le reti sociali, l’ambiente… fino al più ampio contesto politico ed economico che condiziona l’accesso a queste risorse6. In questa visione – definita dei determinanti sociali di salute – salute e malattia non sono meri accidenti legati al caso o alla s/fortuna, ma processi che si distribuiscono nella popolazione in maniera diseguale come risultato di dinamiche strutturali di tipo politico, socio-economico e culturale. Le persone non sono tutte esposte allo stesso modo, ma i gruppi di popolazione più vulnerabili e marginalizzati (sulla base della classe sociale, del genere e dell’orientamento sessuale, della provenienza geografica, eccetera) sono più esposti al rischio di ammalarsi e di morire, e incontrano maggiori barriere nell’accesso ai servizi.

L’approccio descritto si è integrato con alcuni importanti portati dell’antropologia, in particolare la critica al riduzionismo della biomedicina e alle sue dicotomie (mente/corpo, individuo/società, sapere scientifico/credenza, ecc.). In contrapposizione a una visione dell’individuo-paziente come insieme passivo di organi e funzioni, l’antropologia critica guarda alla persona nella sua interezza e complessità, in relazione al vissuto e all’esperienza e a come questi cambiano a seconda del periodo storico e del contesto socio-culturale e politico. In questo senso il corpo, e dunque anche l’esperienza di salute-malattia, non è descrivibile e comprensibile solo in termini biologici, ma piuttosto come prodotto sociale e terreno dove rintracciare istanze, bisogni e sofferenze della collettività7.

A partire da questa visione, il percorso della Grup-pa è stato costruito come spazio aperto di confronto con altre realtà (movimenti, collettivi, gruppi, associazioni…) che si muovono nel campo della salute e dei suoi determinanti, per esplorare insieme quali pratiche vengono messe in atto nella direzione di una maggiore equità e giustizia sociale, come metterle in rete e rafforzarne l’impatto8. Da questo confronto prendono forma questi primi appunti, che ruotano intorno ad alcune parole chiave: comune, cura, tecnica, efficacia, sostenibilità, istituzione. Il tentativo, senza pretese di esaustività, è quello di rimetterle in circolazione per raccogliere nuovi spunti, critiche e contributi.

Vorremmo quindi provare ad avviare un ragionamento ampio insieme alla molteplicità di esperienze che già esistono e che sperimentano pratiche alternative sulla salute e i suoi determinanti in diverse forme e nei diversi territori. Esperienze come le consultorie transfemministe queer9,10, gli ambulatori popolari autogestiti, gruppi o realtà che praticano forme collettive di cura in contesti comunitari; ma anche esperienze di riappropriazione e gestione collettiva di terreni, di teatri e di spazi abitativi; e tutte quelle realtà le cui pratiche risuonano con una visione sociale e politica della salute.

Pratiche del comune in salute

Se da un lato, nell’attuale contesto politico ed economico, tutelare la salute significa prendere posizione per un servizio sanitario pubblico, di qualità, universalistico e solidale, d’altro canto il welfare che difendiamo è fondato su gerarchie e verticalità e su un approccio individualizzante e medicalizzante, settoriale e frammentato. Si tratta di un sistema che non rileva i bisogni di chi non può o ha difficoltà ad accedere e delle persone che – pur accedendo formalmente – non vedono riconosciute le proprie istanze e necessità. Inoltre, manca di strumenti per intercettare i bisogni complessi che le condizioni di crescente precarietà sociale, politica ed economica producono.

Una delle prime questioni affrontate è stata quindi la tensione tra realtà e movimenti a difesa del servizio sanitario nazionale e le sperimentazioni di altre forme di presa in carico dei bisogni di salute (come ambulatori autogestiti e consultorie transfemministe queer), che si strutturano nei vuoti lasciati da un sistema che esclude settori crescenti della popolazione. Infatti, come emerge anche nell’esperienza di chi li abita quotidianamente, le istituzioni e i servizi di welfare – storicamente campo di tensione tra costrizione/controllo e possibilità/emancipazione – sono sempre più soggetti a processi di commercializzazione che riducono al minimo i margini di azione al loro interno.

Come possiamo costruire realtà in grado di rispondere ai bisogni di salute uscendo da una forma di pensiero bioriduzionista e da logiche puramente assistenzialiste? Come si trasformano gli spazi della cura se concepiamo la salute e la malattia non più come accidenti che investono il singolo individuo ma come fenomeni collettivi? Come si traduce in pratiche un discorso sulla salute incentrato sulle condizioni strutturali che determinano il malessere e la malattia?

Il nostro immaginario si apre sulla sperimentazione di spazi in cui è possibile rompere con l’ottica bisogno-servizio e scardinare la relazione di subalternità tra chi eroga una prestazione e chi ne usufruisce. Spazi in cui partire dalla materialità delle nostre vite con l’obiettivo di costruire collettivamente nuove pratiche fondate su una diversa concezione di salute.

Dal punto di vista concettuale, la proposta è quella di mettere in connessione la visione politica e sociale sulla salute con le teorizzazioni e le esperienze che sono nate negli ultimi anni rispetto al tema del “comune”, intendendo con questo termine non il possesso collettivo di qualcosa (come co-proprietà)11, ma la co-attività e l’agire comune come principio politico di azione trasformativa. Parlare di “pratiche del comune in salute” significa costruire concettualmente un ambito di trasformazioni in atto, che possono avvenire tanto nei nuovi spazi istituiti dai movimenti quanto nei settori a difesa dei servizi esistenti, purché affrontino la produzione di salute come questione sociale.

Il tentativo di superare la pratica e la retorica di “sola” difesa del welfare e dei servizi di salute, pur stando in una posizione fortemente contraria a tutto ciò che punta al loro smantellamento tramite processi di privatizzazione, va dunque di pari passo con la necessità di produrre “altro”, altre pratiche e approcci alla salute dentro e fuori le istituzioni che conosciamo.

Come ripensare il concetto e gli spazi di cura

Un passaggio importante per provare a co-creare spazi alternativi di salute è provare a ripensare il concetto di cura, che comprende significati variabili e spesso in contrasto tra loro.

Mettere al centro la persona, non solo come portatrice di patologia ridotta ai suoi sintomi, ci consente di rimettere in discussione l’asimmetria tra chi “cura” e chi “è curat*” che inevitabilmente si crea all’interno delle istituzioni sanitarie, con tutte le conseguenze che questa relazione di potere porta con sé (infantilizzazione, oggettificazione del/la paziente, violenza istituzionale…).

Risulta quindi di particolare importanza lo sforzo messo in atto da alcune esperienze, in cui si tenta di superare il divario tra la figura esperta (del sapere tecnico) e quella che non lo è. Certo è che spesso il paradigma dominante continua ad agire anche sulle esperienze che vorrebbero emanciparsi da questo, poiché scardinare la gerarchia tra i saperi che provengono da una formazione tecnico-scientifica e “ufficiale”, e qualunque altro tipo di sapere basato su esperienze differenti, risulta particolarmente difficoltoso.

A superamento di questo paradigma da diverse esperienze viene proposto il modello di una collettività che si prende cura, facendo riferimento a collettività non neutre che si fondano sulla condivisione di orizzonti politici. In quest’ottica lo spazio della cura si configura come uno spazio intermedio, ovvero uno spazio capace di agire da una parte sul benessere de* singol* e dall’altra al di fuori di essi, costruendo un’azione che possa essere anche di trasformazione dell’esistente. In poche parole uno spazio di soggettivazione politica12.

Note:

1La Grup-pa è una rete nazionale di persone impegnate in un processo di ricerca-azione  sul ruolo dei movimenti sociali e dei gruppi della società civile nella promozione della  salute. La ricerca-azione, dal titolo “Civil Society Engagement for Health for All – CSE4HFA”, è promossa dal People’s Health Movement e ha luogo in sei paesi (Brasile, Colombia, India, Italia, Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica). Obiettivo è generare conoscenza su come i movimenti sociali influenzano le politiche di salute (su scala locale e globale), e al tempo stesso contribuire a rafforzarne l’impatto per
il diritto alla salute per tutte e tutti. Per informazioni: https://gruppaphm.noblogs.org/

2Bodini C. Il personale (medico) è politico. Salute globale e processi trasformativi in Italia. Tesi di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva. Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Anno Accademico 2012/2013

3Riccio M, Rinaldi A. Salute e Movimenti, 1978-2015: recuperare la memoria storica per guardare al futuro. Saluteinternazionale.info. Visitato il 06.06.2018

4AA.VV. Medici senza camice. Pazienti senza pigiama. Socioanalisi narrativa dell’istituzione medica. Sensibili alle Foglie, 2013.

5Bonanno G, Cennamo E, Torchiaro A, La partecipazione comunitaria per la  riappropriazione del diritto alla salute. Saluteinternazionale.info. Visitato il 06.06.2018

6Commission on Social Determinants of Health – final report. Closing the gap in a  generation: Health equity through action on the social determinants of health. Visitato il 06.06.2018

7Quaranta I, Ricca M. Malati fuori luogo, medicina interculturale. Milano: Ed. Raffaello Cortina, 2012.

8Grup-pa – Report di progetto. «The contribution of civil society organisations to achieving health for all – Italy». Visitato il 06.06.2018

9I movimenti transfemministi queer tentano di ampliare e trasformare i codici che regolano la costruzione e l’espressione del genere e dell’identità sessuale. Sono movimenti di resistenza che considerano il genere arbitrariamente assegnato alla nascita come un sistema di potere e oppressione che controlla e limita i corpi, per adattarli all’ordine sociale stabilito. La prospettiva transfemminista queer ha notevolmente contribuito ad arricchire la lotta per la salute attraverso una nozione di “benessere” che ha saputo tenere al centro l’autodeterminazione e le soggettività, così come una strategia di azione intersezionale.

10AA.VV. TUTTA SALUTE! Resistenze (trans)femministe e queer. DWF 2014; 3-4.

11Dardot P, Laval C. Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo. Derive e Approdi, 2015.

12A questo proposito è importante sottolineare il fatto che luoghi come questi non possano caratterizzarsi come neutrali, ma necessariamente debbano co-costruirsi come spazi safe in cui ciascun* possa mettere in discussione se stess* e i propri privilegi, affinché possano essere realmente luoghi di liberazione collettiva.

7 aprile #Health4all – Giornata europea di azione contro la commercializzazione della salute

Come Grup-pa aderiamo alla mobilitazione del 7 aprile contro la commercializzazione della salute e alla Campagna Dico32! Salute per tutte e tutti.

UN SERVIZIO SANITARIO PER TUTTE E TUTTI
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è un sistema universalistico basato sulla solidarietà, ma non tutte le persone si possono o riescono a curare quando ne hanno bisogno. Ci sono persone che non hanno diritto ad accedere, come molte persone immigrate o italiane senza residenza, altre che pur avendo diritto non riescono a coprire i costi dei ticket (che si aggiungono ad altri costi come le assenze da lavoro, le necessità di assistenza domestica, eccetera), altre ancora i cui bisogni non sono riconosciuti, accolti, compresi, come le persone transessuali o chi non si riconosce nelle norme di genere e orientamento sessuale.

La salute è un diritto umano fondamentale vogliamo un servizio sanitario che curi
tutte le persone senza discriminazioni.

FUORI IL MERCATO DALLA SALUTE
Sappiamo che i sistemi sanitari pubblici sono più efficaci di quelli privati: offrono maggiori garanzie nella tutela della salute e sono meno costosi per la collettività. Per esempio, sono gli unici a occuparsi di prevenzione e promozione della salute, ambiti che non generano profitti e quindi non sono interessanti per il mercato. Assistiamo però a un’espansione senza precedenti dell’offerta privata di servizi e di coperture sanitarie assicurative private o mutualistiche, sempre più inserite nei contratti di lavoro e agevolate da politiche statali di defiscalizzazione. Tutto questo sta portando a un sistema segmentato e diseguale: da un lato, un servizio sanitario pubblico “al ribasso” per i meno abbienti (o per chi non ha una sufficiente tutela contrattuale); dall’altro lato, una sanità privatizzata differenziata a seconda dei benefit previsti dai contratti lavorativi o per chi se la può pagare.

La salute non è un ambito da cui estrarre profitto: vogliamo un sistema di cure finanziato con soldi pubblici e gestito da strutture pubbliche, ad alto grado di partecipazione delle persone.

MENO AZIENDALE, PIÙ PERSONALE
L’aziendalizzazione del servizio sanitario sposta l’attenzione su fattori di tipo economico anziché sulla salute. Il servizio sanitario pubblico e di alta qualità è un bene necessario, e le voci di natura economica devono essere un mezzo per il raggiungimento di questo obiettivo, non il contrario. La federalizzazione del sistema, il metodo di rimborso utilizzato per ripagare gli ospedali per le prestazioni mediche erogate, e gli incentivi basati sui tempi anziché sull’efficacia delle cure riducono la qualità del servizio. Per ridurre il problema delle code e dei lunghi tempi di attesa è necessario investire nel servizio sanitario e aumentare il personale. Invece di pazienti trattati frettolosamente, vogliamo attenzione e dedizione. Recuperare il rapporto terapeutico favorisce l’efficacia delle cure e la prevenzione dei problemi.

Vogliamo affrontare subito il problema di sottofinanziamento cronico del servizio sanitario e omogeneizzare la sua qualità a livello geografico.

NIENTE SU DI NOI, SENZA DI NOI
Vivete in una periferia sommersa tra cemento e fast-food, e il vostro medico continua a sostenere che dovreste mangiare più sano e fare più movimento? Purtroppo l’ascolto dei bisogni del paziente è una realtà spesso dimenticata nel rapporto di cura. La prospettiva di familiari e utenti del Servizio Sanitario Nazionale viene indicata come qualcosa di superfluo, non necessario per il raggiungimento della salute. Vogliamo invece che la voce di cittadini, familiari e utenti del Servizio Sanitario Nazionale torni a essere udita come parte fondamentale della costruzione della salute individuale e collettiva.

Vogliamo che nulla venga deciso riguardo la nostra salute senza la nostra partecipazione.

LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE, LA SALUTE NELLA PARTECIPAZIONE
La visione dominante ritiene che i servizi sanitari siano i principali responsabili della salute delle persone e delle comunità. Sappiamo invece che la salute dipende da tanti fattori, come l’ambiente in cui viviamo e i diritti e i servizi a cui abbiamo accesso. Ogni politica pubblica a tutti i livelli istituzionali deve essere quindi mirata al mantenimento della salute come benessere psicofisico e sociale: oltre alla tutela dell’ambiente in generale, la cura del territorio e delle città, la conversione ecologica dell’industria, dell’agricoltura e della distribuzione commerciale, la mobilità sostenibile, la produzione energetica da fonti rinnovabili, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, case adeguate a canone sociale per i ceti popolari, il riconoscimento dei diritti sociali, civili e di autodeterminazione. Inoltre, ogni politica di salute si costruisce dal basso e sostiene la piena partecipazione delle persone e delle comunità nella progettazione e organizzazione delle azioni che le riguardano.

Vogliamo una salute pubblica che ci coinvolga e che si impegni con chi vuole costruire alternative per un mondo più giusto e sostenibile.

UN SISTEMA DI CURE INTEGRATO E VICINO ALLE PERSONE
Vogliamo una sanità che non si limiti a erogare passivamente servizi e prestazioni, ma che sia attiva nel comprendere i bisogni di salute della popolazione e nel garantire programmi condivisi di prevenzione e promozione della salute. Vogliamo che la presa in carico della persona sia multiprofessionale e multidisciplinare, integrando sistema sanitario e socio-assistenziale. Crediamo sia indispensabile ripartire dalla formazione dei futuri professionisti e delle future professioniste sociosanitarie, per sviluppare contenuti e competenze per un approccio globale alla persona.

Vogliamo un sistema di cure vicino alle persone, diffuso e che sappia dialogare e
collaborare con le comunità del territorio.

Per maggiori informazioni:

Pagina fb della Campagna:  https://www.facebook.com/dico32/.
Sito campagna Dico32!: http://setteaprile.altervista.org/
Sito campagna europea: http://europe-health-network.net/
Sito People’s Health Movement: http://www.phmovement.org/

 

Il movimento fa bene #3 IL/IN COMUNE. TRA PERSONALE E COLLETTIVO: NUOVE FORME DI COMUNITÀ E SOSTENIBILITÀ

Roma il 19-20-21 Maggio 2017 @CagneSciolte
Il movimento fa bene #3. “IL/IN COMUNE. TRA PERSONALE E COLLETTIVO: NUOVE FORME DI COMUNITÀ E SOSTENIBILITÀ”.
Il terzo del ciclo di incontri promosso dalla Grup-pa!

Ringraziamo Rita Maralla per la realizzazione e il collettivo delle Cagne Sciolte per l’ospitalità e la partecipazione!

 

Programma Il movimento fa bene #3 IL/IN COMUNE. TRA PERSONALE E COLLETTIVO: NUOVE FORME DI COMUNITÀ E SOSTENIBILITÀ

19/20/21 Maggio @Cagne Sciolte Via Ostiense 137, Roma

Programma

VENERDÌ 19 MAGGIO 2017
APERTURA

18:00 – Le Cagne Sciolte, la Grup-pa, la sostenibilità dei movimenti e la salute : aperitivo per entrare in tema e presentazione delle realtà partecipanti

20:00 -Cena

22:00 – DJ set
***
SABATO 20 MAGGIO 2017
SOSTENIBILITÀ UMANA ED ECONOMICA DELLE ESPERIENZE DI AUTOGESTIONE E DI LOTTA

9:30 – Il movimento fa bene:

A partire dai precedenti incontri, introduzione al tema “In/il comune. Tra personale e collettivo: nuove forme di comunità e sostenibilità”

11:00 – Sessioni parallele

1. Sostenibilità economica

Immaginario sulla sostenibilità personale nel fare attivismo Lavori di gruppo: ostacoli al raggiungimento e possibili strategie di superamento

Pratiche collettive di sostenibilità e loro impatto trasformativo Lavori di gruppo: condivisione di pratiche di sostenibilità collettiva e riflessioni sulla loro trasformatività interna ed esterna

2. Sostenibilità umana

Attraverso il Teatro dell’Oppresso si lavorerà su questioni scelte da* partecipanti e relative alla sostenibilità umana – personale e collettiva delle pratiche di attivismo.

13:00 – Pranzo

14:30 – Continuano i lavori nelle due sottogruppe parallele

16:30 – Pausa

17:00 – Condivisione in plenaria e discussione

20:00 – Aperitivo-Cena e Performance
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DOMENICA 21 MAGGIO 2017
COSTRUENDO PRATICHE DEL COMUNE IN SALUTE: TRA DESIDERI E SOSTENIBILITÀ
09:30 – Per capirsi: le parole del comune in salute

Costruzione collettiva di significati a partire da alcune parole chiave

11:30 – Le pratiche del comune in salute

A partire dalle diverse esperienze, confronto sulle pratiche del comune in salute

13:00 – Pranzo

14:00 – Immaginario e cassetta degli attrezzi

Sul futuro delle esperienze del comune in salute e sugli elementi irrinunciabili per costruirle

15:30-16:00 – Valutazione e chiusura

 

Il movimento fa bene #3 IL/IN COMUNE. TRA PERSONALE E COLLETTIVO: NUOVE FORME DI COMUNITÀ E SOSTENIBILITÀ 19,20,21 Maggio 2017 – Roma, Cagne Sciolte, Via Ostiense 137

Vorremmo invitare tutti i gruppi e le persone che si sentono coinvolte a partecipare al terzo incontro del ciclo “Il movimento fa bene”.
Dopo i primi due incontri, a Bologna “Movimenti e welfare: quali pratiche tra difesa dell’esistente (istituzioni pubbliche) e trasformazione?” e a Napoli “Costruire spazi e comunità in salute. Pratiche di riappropriazione e autorganizzazione collettiva”,  vorremmo ora affrontare la questione della sostenibilità delle esperienze autogestite e della costruzione di nuove forme di comunità e di lotta.

Per partecipare è necessario inviare una mail a progettophm@inventati.org entro il 10 maggio indicando:
– nome
– i giorni in cui si partecipa (venerdi 19 sera, sabato 20 mattina e pomeriggio, domenica 21 mattina e primo pomeriggio)
– (nel caso) realtà di cui ci si sente parte
– città di provienienza
– esigenze particolari (alimentari o altro)
Per chi viene da fuori Roma e non ha possibilità di organizzarsi autonomamente per dormire proviamo a offrire ospitalità nelle case. In questo caso avvisateci il prima possibile.
I pasti saranno auto-organizzati e durante l’incontro ci sarà la possibilità di supportare e redistribuire le spese di viaggio.

Proponiamo di costruire la discussione – che verrà facilitata con modalità partecipative e/o in forma laboratoriale – a partire dalle esperienze delle realtà che parteciperanno e intorno ad alcune questioni:

   1// sostenibilità umana
Le forme organizzative che le esperienze autorganizzate si danno per la gestione del potere decisionale, la divisione delle responsabilità e dei compiti, unitamente al livello di coinvolgimento personale e relazionale che tali esperienze richiedono, sono parte integrante della sostenibilità di quell’esperienza a lungo termine, sia a livello personale che collettivo. Scostarsi da modelli organizzativi gerarchici per abbracciarne altri a maggiore livello di co-responsabilità implica infatti una necessità di ripensamento anche personale, nonché una grande attenzione alla cura e alla riconfigurazione delle relazioni. Vorremmo quindi coinvolgere le persone e le realtà interessate in un confronto sulla relazione tra individuo e struttura organizzativa, e in uno scambio delle pratiche che vengono utilizzate per tenere insieme bisogni, aspettative, desideri e funzionamento.

   2// sostenibilità economica
Molte esperienze di attivismo e autorganizzazione creano forme di reddito diretto e/o indiretto, si interrogano su come sia possibile costruire sostenibilità economica facendo dell’attivismo una scelta di vita, mettono in atto pratiche di redistribuzione economica, producono forme di economia alternativa, moltiplicano immaginari sul reddito, anche indiretto, ed esperienze di neomutualismo. Durante l’incontro vorremmo non solo scambiare visioni e pratiche a riguardo, ma anche interrogarci sull’impatto che le nuove forme di sostenibilità generate possono avere oltre le nostre vite, verso quali cambiamenti strutturali tendano o possano tendere.

   3// sostenibilità delle “pratiche del comune in salute”
Vorremmo riflettere insieme sulla sostenibilità e i possibili campi d’azione delle esperienze autorganizzate in salute, includendo non solo gli ambulatori autogestiti ma in senso più ampio tutte le forme di collettivizzazione e autodeterminazione dei percorsi di cura e promozione del benessere. Vorremmo capire come queste esperienze si sostengono materialmente, che impatto hanno su chi le anima, che margini di azione si danno e in cosa possono essere trasformative. Inoltre ci interessa indagare più approfonditamente che rapporti (si) instaurano con le pratiche istituzionali di assistenza e cura, in cosa se ne distanziano sperimentando modalità differenti e in cosa ne ripropongono invece visioni e risposte.

(Ri)costruendo un filo

La prima fase della ricerca-azione (2014-2015) si è caratterizzata come “mappatura” dell’esistente, durante la quale abbiamo incontrato e intervistato realtà attive sul territorio italiano (movimenti e collettivi, associazioni, spazi, gruppi ecc..) che agiscono in ambiti che sono strettamente correlati alla determinazione sociale e promozione della salute (ambiente e lavoro, territorio e sovranità alimentare, contrasto alle grandi opere imposte e dannose, sessualità e genere, arte e cultura, educazione, economie alternative…).

La seconda fase (2016-in corso) ha l’intento di ripoliticizzare e risignificare la salute per mezzo del confronto collettivo, chiedendoci come le realtà di movimento agiscono sulla determinazione sociale della salute, e se e come queste producono salute al proprio interno e all’esterno. Abbiamo dunque proposto tre incontri aperti incentrati su alcuni nodi cruciali emersi dalle interviste con le realtà, e fondati sullo scambio di pratiche. Un confronto che vuole essere esso stesso una pratica differente (di salute?), attraverso metodi inclusivi e partecipativi.

Nel primo incontro a Bologna (1-3 aprile 2016, qui link al video https://vimeo.com/166277444) siamo partit* dalla questione del welfare come sistema di controllo ma anche campo di lotta e possibilità, nel tentativo dunque di cogliere la tensione trasformativa tra le esperienze che si producono dal basso e le azioni di difesa di un sistema di welfare in ampio smantellamento.

Da qui nel secondo incontro a Napoli (10-12 giugno 2016, qui link al video https://vimeo.com/206442753) ci siamo addentrat* nel campo delle pratiche di riappropriazione e autorganizzazione degli spazi (materiali e simbolici), per esplorare se e come questi producono salute e nuove forme di comunità. In particolare abbiamo individuato come nodi critici del confronto l’istituzionalizzazione e/o la legittimazione di esperienze che nascono dall’illegalità, l’inclusività e/o la riproduzione di forme di discriminazione e privilegio al loro interno, le forme creative di riappropriazione dello spazio pubblico e le possibilità di generalizzazione di queste esperienze al di fuori di confini geografici ed identitari.

Il terzo incontro a Roma conclude dunque il ciclo “Il movimento fa bene”, e si muove ancora più all’interno delle esperienze per indagare collettivamente in che modo siano sostenibili forme alternative di “fare salute” e “fare comunità”.

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Per saperne di più:

Siamo una rete di persone che sta portando avanti un progetto internazionale di ricerca-azione partecipata sul ruolo e sulle pratiche dei movimenti sociali per la promozione del diritto alla salute.
Il progetto è promosso dal People’s Health Movement (Movimento dei Popoli per la Salute), una rete globale che opera per il diritto alla salute, inteso sia come accesso ai servizi sanitari sia in relazione ai principali determinanti di salute (lavoro, reddito, educazione, casa ecc.). Oltre che in Italia, la ricerca-azione si sta realizzando in Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica, Colombia, India e Brasile.
In Italia, la rete che sta portando avanti il progetto si è denominata “Grup-pa” (Gruppo Permanentemente Aperto), e coinvolge persone di area medica e socio-umanistica che da tempo sono impegnate in riflessioni e pratiche per una salute radicata nella giustizia sociale. Il progetto, inteso come ricerca-azione partecipata, non si fonda sulla raccolta di dati da parte di ricercatori e ricercatrici ‘esperti/e’, ma sul coinvolgimento di persone e realtà che hanno voglia di condividere esperienze significative e, insieme, di analizzarle. Alla base vi è infatti l’idea che la conoscenza origina dalle pratiche ed è co-costruita dalle persone che a esse prendono parte.
Gli incontri che abbiamo proposto fanno parte dell’Università Popolare della Salute, un percorso autorganizzato di formazione in salute iniziato nel 2014 dal gruppo romano Medici Senza Camice.

7 Aprile 2017- Health for all

La Gruppa-People’s Health Movement Italia si mobilita per il 7 Aprile, Giornata europea di azione contro la commercializzazione della salute!

Ci troverete spars* in giro per l’Italia nelle varie iniziative che si stanno organizzando, che trovate nel sito qui: http://setteaprile.altervista.org/. Sentiamo fortemente questa giornata e ne condividiamo profondamente l’appello, e invitiamo tutt* a sottoscriverlo e a venirci a trovare nelle varie piazze!

Salute per tutt* e accesso universale alle cure!

Diritti sociali, economici, culturali e ambientali per tutt*!

#HEALTH4ALL

Verso la terza residenziale aperta del ciclo “Il Movimento fa Bene”

Recentemente la Grup-pa si è incontrata per decidere come continuare la ricerca-azione partecipata. Dopo un periodo abbastanza frenetico di attività (in particolare legato all’organizzazione delle prime due residenziali aperte) sentivamo la necessità di un momento più libero e intimo per far emergere i desideri, i bisogni e le disponibilità di ciascun*, e riorganizzarci in base a questi.
Abbiamo così scelto di spostare la terza residenziale aperta Il/in comune. Tra personale e collettivo: nuove forme di comunità e di sostenibilità, inizialmente prevista per metà ottobre 2016, a fine marzo/inizio aprile 2017.
Sentiamo questo tema a noi molto vicino, vorremmo quindi organizzarlo dedicandogli il tempo e la cura necessari, invitando anche i singoli e le realtà interessate a co-costruirlo insieme. Per questo proponiamo un weekend (da venerdi pomeriggio a domenica pomeriggio) per mettere insieme idee e pratiche su contenuti e metodologie che vorremmo nella terza residenziale aperta. Abbiamo individuato due weekend per noi utili tra fine novembre e inizio dicembre. Qui trovate il doodle per esprimere la vostra preferenza sulle date*: http://doodle.com/poll/x5ixq9hru4e565wsvfphkfii/admin#table
Il weekend è aperto a tutte le persone interessate, se volete più informazioni potete scrivere a progettophm@inventati.org.
Inoltre, stiamo sondando la disponibilità della Mag6 di Reggio Emilia a facilitare un laboratorio di una giornata in ottobre sul tema del denaro/sostenibilità economica che abbia al centro, come caso reale, la gestione dei fondi del progetto della Grup-pa. Su questo manderemo maggiori informazioni a breve (data, luogo, orari e numero massimo di partecipanti) per aprirlo agli/lle interessati/e.

* qualora venisse scelto il secondo weekend, c’è possibilità di vedersi già dall’8 dicembre che è festa.